Il circolo di lettura “Leggere leggero” – incontro online su “Il Codice del Disonore” di Dina Lauricella

Il 17 maggio il gruppo di lettura “LeggereLeggero” di Italia&Altrove – Francoforte si è incontrato online per parlare del libro proposto ed introdotto dalla nostra Floriana.
“Il codice del disonore” Donne che fanno tremare la ’Ndrangheta di Dina Lauricella è stato pubblicato da Einaudi nel 2019 e reca il sottotitolo: “D come disonore. Quello degli uomini di  ‘Ndrangheta che per difendere l’onore mafioso non esitano a uccidere le proprie figlie”.

Dina Lauricella è una giornalista che ha lavorato e lavora per importanti testate nazionali e nel suo libro conduce un’inchiesta di taglio giornalistico tra le donne della ‘ndrangheta calabrese, mettendo in luce un fenomeno recente di grande importanza: per la prima volta nella storia della ‘Ndrangheta, figlie e mogli dei boss denunciano membri delle proprie famiglie e iniziano una collaborazione con la giustizia.

Tutti i partecipanti sono stati concordi nel vedere in questo gesto di ribellione e estremamente pericoloso per la loro incolumità, il tentativo di strappare i propri figli – particolarmente i figli maschi – ad un inesorabile destino criminale, ma soprattutto per sfuggire loro stesse al “codice d’onore” dei membri della mafia calabrese che prevede la morte per le  donne di ‘Ndrangheta che tradiscono il marito o la famiglia. E ad uccidere sono i padri o addirittura i figli maschi della vitima, per rimediare “all’onta” subita, in nome di ciò che emancipazione, cultura e buonsenso definirebbero in effetti come “codice del disonore”.

Siamo rimasti tutti  impressionati da quello che scrive l´autrice sulla situazione di schiavitù, completa sottomissione e segregazione in cui vivono le donne delle famiglie mafiose e dal ruolo di quelle più anziane nella vendetta e nell´istigazione a spargere sangue. In Calabria sangue chiama sangue e le faide sono pressoché  infinite.

Gianfranco ha comunque fatto notare che situazioni simili, segni di un retaggio arcaico e maschilista, sono sopravvissute in Italia fino al 1981, basta pensare all´articolo 587 del C.P, il quale assicurava uno sconto di pena per il cosiddetto “delitto d’onore” oppure il cosiddetto “matrimonio riparatore”, dove uno stupratore sposando la malcapitata non veniva perseguito penalmente.

Un´altro aspetto del libro su cui ci siamo trovati d´accordo è la contrapposizione tra il mondo dell´ ndrangheta,  chiuso e crudele, dove le donne occupano una posizione svantaggiata, poiché intrappolate all’interno di una rete criminale nel quale i matrimoni servono a rinsaldare le alleanze tra ‘ndrine o a suggellare una pace dopo faide sanguinose.  In questo “mondo” le donne possono solo accettare e trasmettere alle loro figlie la sottomissione, mentre i maschi debbono conformarsi ai codici di sangue e vendetta che ne preparano la carriera criminale.

A questo proposito è stata fatta risaltare l´azione del giudice Roberto Di Bella, il quale per contrastare l´”educazione” mafiosa dei figli dei boss, ha allontanato circa sessanta di questi bambini dal loro contesto familiare d’origine, per trasferirli in strutture o famiglie del Nord, tra le polemiche di chi le ha definite «deportazioni”.

I social networks hanno aperto comunque una crepa nel mondo mafioso e molte donne di ‘ndrangheta li usano per esplorare un mondo che altrimenti non è loro permesso conoscere. Conoscere uomini esterni al loro universo criminale, sebbene virtuali, asseconda la loro voglia di venire fuori dal contesto sanguinario in cui sono cresciute e le spingono a opporsi apertamente ai  ‘ndranghetisti, anche a costo della vita.
È dunque il contatto con l’esterno, con altri mondi, che le donne necessitano. La combinazione tra femminilità, individualità e tecnologia, come suggerisce l’autrice, può mettere in crisi la ‘ndrangheta più di migliaia di blitz e processi. Si tratta quindi di non lasciarle sole e di aprire percorsi di emancipazione dai valori mafiosi. Una strada impervia, ma che esiste e va esplorata, come fa l´autrice, cercando con pervicacia un´intervista con “Alba”, nome fittizio di una collaboratrice di giustizia, che infine, dopo mille ostacoli, rivela essere ancora impigliata in quella cultura mafiosa che vuole denunciare quando, come l´ ´ndrangheta che si vanta di fare soldi con qualsiasi attività, chiede, tramite il suo avvocato, un elevato compenso (100.000 euro) per concedere l´intervista alla giornalista.

Questa conclusione del libro ha lasciato perplessi molti partecipanti, ma un´esperta come Renate Siebert, una docente tedesca che oggi vive in Calabria, sottolinea che: “Si può essere carnefici in alcune situazioni, pur essendo vittime in altre. Un gran numero di donne è al corrente e in parte complice delle attività dei loro mariti, fratelli e amanti. Il piacere della violenza è condiviso anche dalle donne”.
Qualche discussione è sorta dalla valutazione sulla ribellione di queste coraggiose donne, che si oppongono alla legge mafiosa. La loro scelta di “legalità”, ovvero la decisione di collaborare con la giustizia, sembra scaturire più che da una sete di legalità, da un desiderio di libertà dalle soffocanti maglie del mondo mafioso e dall´aspirazione ad un´altro futuro per sé stesse e i loro figli.

La Lauricella conclude il suo libro con questa frase: “Non ci sono mafie migliori e mafie peggiori. Fanno tutte schifo. Ci sono però donne che fanno la differenza”.

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